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venerdì 1 maggio 2020

"Sconfiggeremo Covid-19 con le intelligenze collettive". Intervista a Ilaria Capua

La creatura è un “progetto trasformazionale, che unisce la potenza di fuoco - e di calcolo - del Cern all’intelligenza collettiva di gruppi di ricerca interdisciplinare”, con l’obiettivo di studiare la pandemia di Covid-19 per quello che è: “un problema complesso che richiede nuove soluzioni che guardino oltre”. L’ingrediente di base sono “montagne di dati”: un patrimonio che, se interpellato con le giuste domande, può guidarci in rotte inesplorate. Le madri sono due: Ilaria Capua, la virologa più famosa d’Italia, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, e Fabiola Gianotti, la fisica più famosa d’Italia, direttrice generale del Cern di Ginevra.
A raccontare ad HuffPost in cosa consiste il progetto nato dalla collaborazione tra Cern e One Health Center è la professoressa Capua, che spiega: “Il Cern ha un archivio open access che si chiama Zenodo. Al suo interno verrà sviluppata un’area dedicata al Covid dove sarà possibile caricare qualsiasi genere di dati: sia dati attivamente raccolti dagli ospedali e dalle persone, sia dati raccolti passivamente, come per esempio l’inquinamento, le piogge, l’umidità. Stesso discorso per la mobilità: attraverso i dati telefonici, si può capire quanto la gente si è mossa in un determinato periodo e capire il perché di determinati fenomeni”.
Questa idea nasce da due “cervellone” - mi passi il termine – come lei e la Gianotti. Due donne, due expat, due scienziate di fama mondiale. Ci racconti com’è andata...
“Un paio di settimane fa la Gianotti, che stava già lavorando a questo spazio dedicato, mi ha chiamata e mi ha chiesto qual era la mia visione, cosa stava facendo il mio gruppo… Ci siamo confrontate ed è nata questa felice sinergia. Abbiamo deciso di mettere in piedi uno spazio dedicato al Covid – organizzato e gestito dal Cern - con il sostegno di gruppi di ricerca ed il Centro che dirigo farà da apripista”.
Come è composto il suo gruppo e perché è così straordinario?
“Il mio team interdisciplinare si chiama Yellow Submarine - ci è venuto in mente pensando come eravamo tutti compressi ma carichi di energia durante una videoconferenza sul Covid – e comprende scienziati dell’Università della Florida, del Cern , ISI di Torino e di importanti istituti di ricerca italiani ed esteri. Ho avuto un generoso finanziamento da un imprenditore italiano, con cui ho costruito un team diversificato di persone. Del team fanno parte matematici, fisici, economisti, ingegneri, medici, veterinari, agronomi, esperti di clima e altri ancora: è un gruppo molto eterogeneo che si è creato anche venendo dal basso, perché il Covid-19 sta fungendo da acceleratore di interdisciplinarietà. Tutti hanno capito che non sono solo i medici che risolveranno il problema, ma c’è bisogno di un’azione coordinata a più livelli. Come facciamo ad esempio a capire gli effetti sulle donne in gravidanza? Bisognerebbe mettere tutti i dati, di tutti i Paesi, tutti insieme in un unico posto”.
Già, i dati: il bene invisibile – e più prezioso - nella lotta alla pandemia. Perché sono così importanti e qual è il valore aggiunto che questo progetto può dare alla loro lettura?
“Oggi siamo in grado di rilevare e studiare montagne di dati che vengono già generati, ma purtroppo in maniera ancora disomogenea e poco allineata, per cui si fa fatica a metterli a posto. Ma il Cern, che è abituato a lavorare con moli di dati infinitamente grandi, può essere decisivo. Uso l’esempio che mi ha fatto ieri la Gianotti: il coronavirus sta alle particelle con cui lavorano loro come il mondo sta a un granello di sabbia, nel senso che il virus è il mondo e la particella è il granello di sabbia. Il progetto è rivoluzionario perché inserisce in un problema soprattutto sanitario una capacità computazionale, e la loro capacità di organizzare e strutturare dati. È ovvio che c’è bisogno di intelligenza collettiva, perché ognuno può dare il suo pezzetto e contribuire a fare le domande giuste, e soprattutto quelle più utili”.
Soffermiamoci su questo principio dell’intelligenza collettiva. Il progetto è aperto a tutti? Va inteso come una call ad altri gruppi di ricerca?
“Il progetto è assolutamente open: la piattaforma Zenodo è open, il gruppo Yellow Submarine è open, l’intero network è open a tutti i gruppi di ricerca interessati a studiare il Covid con delle lenti diverse. Perché il Covid – ripeto – tocca tutti gli ambiti, non solo il campo biomedico: tocca le famiglie, l’agricoltura, le imprese, gli operai, la natura e la cultura”.
Quindi non è così astratto e naif pensare di voler studiare l’impatto della pandemia sull’ambiente e il mondo naturale...
“Assolutamente no, anzi. In uno di questi team – che abbiamo chiamato Gruppo di Resilienza della Natura – stiamo predisponendo un progetto con il Fondo Ambiente Italiano, con Ilaria Borletti Buitoni, per studiare in alcune proprietà del Fai come la natura si stia risvegliando proprio perché noi inquiniamo molto meno. Si tratta di contare le popolazioni di api, le farfalle, le specie di piante che sono più sensibili all’inquinamento, il ritorno di habitat di alcuni animali selvatici. L’idea è unire il discorso della salute a una resilienza della natura, rendendoci conto di quanto sia fondamentale il contesto. Per la salute il contesto è importantissimo: se stai in un posto brutto, degradato, inquinato, è chiaro che non stai bene. Se invece riconosci che il contesto è parte del tuo benessere, a quel punto è tutto più semplice. Il Covid ha tirato fuori in modo prepotente le nostre interdipendenze: siamo tutti interdipendenti l’uno dall’altro. Stavamo andando verso il collasso delle popolazioni di api, che sappiamo essere una tragedia per il mondo così come lo conosciamo, e adesso abbiamo l’opportunità per recuperare quello spazio”.
Alcuni storceranno il naso a sentir parlare di api, mentre solo in Italia si contano oltre 27 mila morti. Perché è così importante allargare lo sguardo e “cambiare lenti”, come ha detto prima?
“Bisogna provare a guardare oltre la catastrofe. E soprattutto imparare da questa drammatica esperienza. L’inquinamento potrebbe essere stato una delle concause che ha reso il Covid così grave in alcune aree. Studiando gli effetti post-lockdown possiamo capire come e quanto la nostra aria e la nostra acqua siano più pulite. La catastrofe sanitaria – almeno spero - ce la siamo lasciata alle spalle, ora c’è la catastrofe economica. Su questo l’unica cosa che posso fare è mettere a disposizione questo progetto open anche a beneficio delle imprese e dei cittadini, in modo che possa essere una risorsa. È un progetto trasformazionale, non esiste nulla di simile, anche perché di Cern ce n’è uno solo. Intelligenza collettiva vuol dire incrociare questa montagna di dati per studiare delle nuove soluzioni che ci aiutino nell’uscita da questa pandemia. Perché ora c’è la fase 2, poi ci saranno le fasi 3, 4… Questo virus non andrà via: avremo bisogno di aggiornare le indicazioni e le linee guida; questa risorsa può servire anche a questo”.
Il team dell’Università di Oxford ha annunciato che il vaccino potrebbe essere pronto già a settembre. Cosa ne pensa?
“A settembre avranno i dati per dire se il vaccino funziona, ossia se dà immunità neutralizzante. Per fare il vaccino – anche solo per farne 100 milioni di dosi, che non sono niente – ci vuole tempo. Poi bisogna fare i controlli di lotto di innocuità, efficacia, assenza di agenti contaminanti. Nella migliore delle ipotesi, lo avremo a dicembre. Poi il problema sarà lo scaling up del numero di dosi. Se ipotizziamo che tutti gli europei e tutti gli americani si vogliano vaccinare in massa, sono quasi un miliardo di dosi. In tre mesi si possono fare milioni di dosi, non certo abbastanza per tutti. Resta poi da vedere - in un Paese come l’Italia, che non si vaccina per l’influenza – quanti italiani vorranno vaccinarsi davvero”.
E sul fronte delle terapie? Ci stiamo avvicinando a vedere una luce?
“Ci sono alcune terapie, soprattutto quelle con antivirali, che sembrano dare risposte migliori. Ma ci si arriverà: ci sono talmente tanti centri che stanno lavorando, che si arriverà a un protocollo terapeutico molto prima del vaccino. In realtà una risposta terapica c’è già, perché si muore molto meno”.
Parliamo di Fasi 2. Tutti i Paesi stanno tentando la propria strada, nella consapevolezza che è un percorso incerto per tutti. Qual è la bussola che i governi dovrebbero tenere sotto gli occhi in vista di un allentamento delle misure restrittive?
“La bussola è il buon senso. Ormai ognuno di noi sa se è un soggetto ad alto, medio o basso rischio. Quindi ognuno di noi deve comportarsi in maniera intelligente per proteggere la propria salute. Non è il problema del governo, è il problema del singolo. Mia mamma, che ha 82 anni, dovrà ridurre le sue partite a carte, a meno che non giochi online. Invece di andarci una-due volte a settimana, magari va lo stesso a casa delle sue amiche nonne, ma si prende solo un tè a distanza e poi torna a casa. Bisogna trovare dei comportamenti che permettano di fare una vita sociale normale, ma responsabilizzando il singolo sull’importanza del suo comportamento. Se il singolo non si comporta in maniera proporzionata al suo fattore di rischio, o a quello dei suoi parenti, è lui che fa danni, non è il governo che fa danni. Questo è un problema nostro, il governo da solo non ne viene fuori. Come fa? Vogliamo uno Stato di Polizia? Più di quello che c’è?”
Un’ultima domanda sul tema delle donne. In Italia molti lamentano l’assenza di menti femminili nei tavoli dove si decide come affrontare l’emergenza e come costruire la ripartenza. Lei cosa ne pensa?
“Le task force dovrebbero essere fatte dalle persone migliori, che siano uomini o donne non ha importanza. Certo, un po’ di buon senso e pragmatismo femminile serve sempre. Sono convinta che le donne soffrano di una diversa rappresentatività sostanzialmente perché non è premiato il merito. Se il merito fosse premiato, a prescindere dal genere, sono certa che avremmo più donne nei centri decisionali. Ora mi scusi, la devo lasciare: ho una videoconferenza internazionale”. Il fuso orario è quello della Florida, ma potrebbe anche essere Ginevra.
Ilaria Capua e Fabiola Gianotti

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